Cos'è la Sindrome di Stoccolma?
Nel 1973 ci fu una rapina alla banca di Stoccolma. Alcune persone vennero prese in ostaggio per diversi giorni e svilupparono dell’empatia nei confronti dei loro sequestratori. Arrivarono perfino a difenderli durante il processo e far loro visita in carcere.
Ecco una definizione semplice alla sindrome di Stoccolma: quella di comprendere il proprio aggressore, perché quest’ultimo è in grado di spiegare le motivazioni alla base delle sue azioni. Quando si è vittime, ci si mette nei panni del carnefice.
🧠 Nelle situazioni più gravi in cui è presente un forte stress psicologico, le vittime temono per la loro vita. Quando, una volta cessato il pericolo, non muoiono, queste sentono una sorta di riconoscenza e si sentono debitrici per il fatto di essere ancora in vita. È quello che succede nei casi in cui si viene presi in ostaggio, come la rapina a Stoccolma del 1973.
Perché si arriva ad amare il proprio aggressore?
La sindrome di Stoccolma è un meccanismo di sopravvivenza. Spesso, in seguito ad uno shock emotivo, il nostro cervello si adatta automaticamente alla situazione e innesca un sistema di autodifesa. Si tratta di un fenomeno psicologico che permette di "sopportare l’insopportabile". La nostra mente mette in atto questo meccanismo di difesa per adattarsi a situazioni che non sappiamo come affrontare.
Il nostro comportamento si adatta nel momento in cui la nostra vita è in pericolo, come per esempio quando si viene presi in ostaggio, ma reagiamo allo stesso modo anche quando qualcuno tenta di farci del male. La sindrome di Stoccolma nella vita quotidiana può rivelarsi ancora più perversa. Non si tratta più di essere presi in ostaggio, si tratta di violenze ripetute che distruggono a poco a poco la salute mentale della vittima e la sua autostima.
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Essere vittima della Sindrome di Stoccolma in famiglia
La sindrome di Stoccolma è un meccanismo che si può riscontrare in situazioni di maltrattamento all’interno della vita privata. È un fenomeno ancora più marcato nel momento in cui si parla di persecuzioni che durano da molto tempo. Quando si viene maltrattati da qualcuno appartenente alla nostra sfera intima, vuol dire che esiste un legame molto forte che unisce la vittima all'aggressore, complicando ulteriormente il rapporto. A lungo andare, ci si abitua alla violenza e ci si sente addirittura riconoscenti per il fatto che la persona violenta non si spinga oltre.
La Sindrome di Stoccolma nella vita di coppia assume forme diverse: intimidazioni, umiliazioni, persecuzioni, violenze fisiche e sessuali. D’altronde, i carnefici sono spesso dei narcisisti perversi. Edmundo Oliveira, ricercatore in criminologia, spiega che nel caso della violenza coniugale, le donne denunciano raramente i loro aggressori e continuano a vivere sotto lo stesso tetto. Le donne vittime di violenza rimangono in silenzio perché si innesca questo sentimento paradossale di affetto e paura. Alcune si sentono sollevate per il fatto di essere ancora in vita e credono che rimanere in silenzio sia l’unico modo per salvarsi.
⚠️ Associazione contro la violenza sulle donne: telefonorosa
La sindrome di Stoccolma al lavoro
La sindrome di Stoccolma può avere luogo anche all’interno dell’ambito professionale. Per esempio, può manifestarsi con un superiore gerarchico o un collega che ci perseguita, intimidisce o molesta. Quando succede per la prima volta ci si sente generalmente sorpresi, ma una volta che questa prima reazione è passata, non reagiamo. C’è una scala gerarchica
e quindi si tende a minimizzare la cosa: “è normale, è il mio superiore, ha paura che faccia qualche errore grave”.
Secondo la Havard Business Rewiew, la sindrome di Stoccolma all’interno dell’ambiente professionale è più presente ora rispetto al passato. Il fatto che trovare un lavoro sia più difficile rispetto a prima contribuisce all’aumento di questo fenomeno. Il dipendente vittima di violenza teme di perdere il suo lavoro e di non trovarne un altro in seguito. Fuggire dal proprio lavoro e dal proprio capo è dunque fuori questione, e il dipendente si ritrova così intrappolato in una situazione tossica.
Qual è la via di fuga alla Sindrome di Stoccolma?
A prescindere dalla situazione e dal rapporto che si stabilisce con il proprio aggressore, bisogna riuscire a rendersi conto del fatto di essere vittime della Sindrome di Stoccolma. Perché quando si è sotto la morsa di qualcuno, si ha tendenza ad accettare un comportamento che normalmente non è accettabile. Ascolta attentamente le reazioni delle persone che ti stanno vicine, perché questo è un ottimo modo per prendere consapevolezza della situazione. Non bisogna mai considerare come normale o banale il fatto di essere umiliati, sminuiti, maltrattati o che venga compromessa la nostra integrità fisica.
Una volta presa consapevolezza di ciò, bisogna mettere da parte le esitazioni e fare il primo passo. Parlarne con un amico, il medico curante o un terapeuta sono tutti ottimi modi per incominciare ad uscirne. Sentirsi dire da qualcun altro che ciò che si ha subito non è normale aiuta a farci comprendere la gravità della situazione.
Qual è la cura? Esiste una terapia?
Il modo migliore per trattare la sindrome di Stoccolma è consultare un terapeuta. Essere seguiti da uno specialista ci aiuterà a reagire e a mettere dei limiti al nostro carnefice. Per fare ciò bisogna esprimere i propri sentimenti e spiegare esattamente cosa si sta passando. Questo cambiamento nel comportamento avrà un impatto importante sull’aggressore. Nei casi più gravi, non bisogna esitare a chiedere aiuto o a denunciare, o addirittura a tutelare la propria sicurezza quando si teme per la propria vita.
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Il consiglio della redazione: sei una vittima?La Sindrome di Stoccolma può essere vissuta quotidianamente, che sia in ambito professionale o sentimentale. Se ti rendi conto di alcuni atteggiamenti che non andrebbero tollerati, non esitare a contattare un terapeuta per parlare della tua situazione. Esistono numerose terapie davvero efficaci per superare la Sindrome di Stoccolma.
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Fonte: Mypersonaltrainer